Data la grave crisi del Paese, a causa delle fallimentari ricette neo-liberiste, imposte da un' Europa, dominata dai poteri forti, sui quali vado scrivendo da tempo su questo blog ed altrove, credo sia utile
cominciare anche a discutere e confrontare tesi diverse sui vantaggi o svantaggi di una uscita dell’Italia dall’euro. Personalmente ritengo che la cosa sia auspicabile e possibile, ma credo che ognuno debba farsi liberamente un minimo di informazione prima.
Nonostante il fallimento delle politiche neo-liberiste e del rigore, continua infatti la sudditanza e mancanza di coraggio politico della nostra classe politica al governo. I degradanti "compiti a casa" riproposti anche da Renzi, dopo i disastri di Monti e Letta, corroborati da ricette fallimentari e di macelleria sociale ci hanno portato su una strada suicida per il Paese.
Evito di trattare la questione dal punto di vista economico perchè non ne ho le competenze specifiche, ne' politico perchè ne ho già parlato in passato qui ed altrove e trovo più corretto limitarmi a riportare i pareri di esperti.
Cominciamo col dire che, pur con posizioni diverse , 7 Premi Nobel: P.Krugman, M.Friedman, J.Stigliz,
A.Sen, J.Mirrless, C.Pissarides, J.Tobin, considerano l’Euro, per come è stata
costruita, una camicia di forza taroccata ed insostenibile per l’Italia, sia per la mancanza di una
garanzia bancaria europea, sia per l'assenza di un parlamento sovrano, di strategie sulla crescita e
per la sua costruzione centralizzata, burocratica che di fatto impone
manovre rigide, destinate ad impoverire
i cittadini a favore di banche e interessi finanziari.
J.Mirrless afferma che
per l’Italia sarebbe conveniente uscirne riacquistando la propria sovranità
monetaria per espandere la massa monetaria in circolazione o attraverso la
svalutazione ..
“ L’eventuale uscita dall’euro” per Merrill Lynch, “oltre a rendere possibile,
attraverso la svalutazione, il riequilibrio della bilancia commerciale e in
prospettiva una crescita guidata dalle esportazioni, avrebbe effetti benefici
anche sui tassi di interesse, poiché i mercati sarebbero rassicurati dal
ritorno alle monete nazionali, fattore che ridurrebbe la possibilità di un
default”
Ecco, di seguito altre valutazioni, di economisti contrari alla
nostra uscita dall’euro e sulle
possibili conseguenze :
“LA FUGA DI CAPITALI. L'uscita da un'unione
monetaria, con l'adozione di una nuova valuta, è un passaggio
tecnicamente difficile che deve avvenire con un'operazione-lampo,
gestita nell'arco di poche ore e accompagnata dal blocco provvisorio dei
movimenti di capitale. Così è avvenuto, per esempio, nellaRepubblica Ceca e
in Slovacchia che negli anni '90, dopo la caduta dei regimi dell'est,
avevano mantenuto per qualche anno una traballante unione monetaria. Se
l'operazione di uscita dall'euro non viene gestita bene e non rimane confinata
nel segreto delle stanze diplomatiche, si rischia una fuga di capitali
all'estero. Non appena sarà chiara la volontà dell'Italia di abbandonare la
moneta unica, molti investitori saranno infatti spinti a darsela a gambe,
spostando le attività finanziarie detenute nel nostro paese verso nazioni con
una valuta più forte.
IL DEBITO. Oggi tutto il debito pubblico
italiano ha un valore espresso in euro (circa 2mila miliardi). Cosa
accadrebbe se il nostro paese adottasse una nuova valuta al posto della moneta
unica? I possessori dei titoli di stato (soprattutto gli stranieri che
detengono ancora più di un terzo del nostro debito), difficilmente accetteranno
di convertire i loro crediti in una nuova moneta che vale meno. In
altre parole, chi possiede i Buoni del Tesoro pretenderà che vengano ripagati
in euro (cioè nella valuta in cui sono stati emessi), anche a costo di
affrontare delle cause legali contro lo stato italiano. Dunque, è probabile che
il nostro paese sia comunque costretto a rimborsare l'attuale stock di debito
in euro, mentre il suo prodotto interno lordo (pil) sarà espresso in una nuova
moneta che vale meno. In questo modo, il rapporto tra debito pubblico e
pil (che oggi è poco sotto il 130%) rischia di schizzare verso
l'alto alla velocità della luce, magari per superare il tetto del
150%.
LE IMPORTAZIONI. Spesso i fautori dell'uscita
dall'euro mettono in evidenza i potenziali benefici che il nostro paese avrebbe
adottando una moneta svalutata, come la vecchia lira. In questo modo, infatti,
le nostre esportazioni riprenderebbero a viaggiare con il turbo,
acquistando grande competitività sui mercati. Ci si dimentica, però, di
due cose: innanzitutto, l'export made in Italy non va affatto malissimo e
oggi è tornato ai livelli precedenti la crisi economica, nonostante l'esistenza
dell'euro. Inoltre, l'Italia non è soltanto una nazione esportatrice ma
anche un grande importatore di materie prime. Il deficit energetico
del nostro paese, per esempio, è attorno a 65-70 miliardi a
causa dell'import di gas e petrolio, il cui valore sui mercati internazionali
viene espresso in dollari e si impennerebbe all'improvviso se l'Italia avesse
una moneta svalutata. Occorre ricordare, infine, che il nostro paese ha la
seconda industria manifatturiera d'Europa, che eccelle in alcuni
segmenti come la meccanica industriale, particolarmente bisognosi di materie
prime.
L'INFLAZIONE E I TASSI D'INTERESSE. Non appena
un paese decide di svalutare la propria moneta, ovviamente corre il rischio di
una fiammata dell'inflazione a causa di un maggior costo delle
materie prime importate, che indirettamente finiscono nel carrello della spesa.
Quando i prezzi aumentano troppo, inoltre, la Banca Centrale di un paese tenta
spesso di fermarli aumentando anche i tassi di interesse, cioè il
costo del denaro. Al momento, una possibile fiammata inflazionistica non viene
considerata tra le conseguenze più gravi dell'uscita dall'euro anche se non va
mai dimenticato ciò che è già successo nella storia italiana, soprattutto negli
anni '70 e '80. In passato, il nostro paese ha effettuato più volte
delle svalutazioni competitive della lira, guadagnandosi però un
triste primato: quello di avere dei tassi d'interesse e una crescita dei prezzi
altissimi, entrambi a due cifre.
In conclusione, secondo i teorici della MMT tutti i discorsi
che facciamo da anni sul livello troppo alto di debito pubblico e del deficit
statale sono non-issues. Chiacchiere ideologiche per confondere i
cittadini. All’inizio del Novecento, il deficit pubblico americano era del 10%.
Era salito al 120% dopo la fine della seconda guerra mondiale e sceso
nuovamente al 34% nel 1974, come ricorda Federico Rampini in un articolo su
«Repubblica». Se uno mette in relazione debito pubblico e crescita o
occupazione sembra non esserci nessun nesso.
Bisogna dire che è sorprendente come la MMT spieghi bene
tutto quello che è successo negli ultimi vent’anni in Italia. Tutte le manovre
economiche di austerity condotte a partire dagli anni Novanta,
quando abbiamo deciso di voler entrare nell’euro, sono state manovre che hanno
prodotto surplus primari nel deficit pubblico e quindi hanno sottratto liquidità
al settore non-pubblico. Tutte le manovre di austerity per
restare nell’euro ora producono lo stesso effetto. Tutti i dati indicano che
questa è stata la direzione. Tra il 2000 e il 2013 il PIL dell’Unione Europea è
cresciuto di circa il 16%. Quello italiano di circa il 2%. A questo punto per
l’Italia non ci sono più molte scelte: o riusciamo a influenzare le politiche
europee, soprattutto quelle monetarie, oppure siamo condannati a una lenta
agonia.”
Paolo Barnard invece “collega la MMT con il fatto che,
poiché oggi noi non possiamo più stampare moneta (solo la BCE può farlo), se
noi volessimo adottare politiche monetarie espansive come quelle suggerite
dalla MMT ci converrebbe uscire dall’euro e tornare alla lira.
In sintesi, per quanto riguarda l’euro, la via auspicata dal
manifesto è la seguente: l’Italia annuncia unilateralmente che non rispetterà
più i trattati europei sinora firmati e procede a un ritorno alla lira per
quanto riguarda il pagamento delle tasse e i pagamenti interni, ma i depositi
bancari e i prestiti in euro potrebbero rimanere in euro (le banche
convertirebbero i depositi da euro in lire solo su richiesta dei depositanti).
La Banca d’Italia concederebbe prestiti a zero interessi allo Stato. Il debito
dello Stato in euro verrebbe onorato nei tempi decisi dall’Italia. L’economia
sarebbe rifondata sul principio dell’esclusivo Interesse Pubblico, che mira
essenzialmente alla creazione di una piena occupazione per tutti…”
Ecco invece su questa questione l’analisi Dell’economista
Elido Fazi:
“1) condivido l’epigrafe messa ad
apertura del documento, una citazione da Paul Krugman: «Adottando l’euro,
l’Italia si è ridotta allo stato di una nazione del terzo mondo che deve
prendere in prestito una moneta straniera, con tutti i danni che ciò implica».
È una giusta conclusione nota agli esperti da anni.
2) Sono d’accordo che, se avessimo
ancora la lira, non ci sarebbe nessun pericolo di default. La Banca
d’Italia potrebbe, con un semplice click di computer, stampare moneta, e il
problema non si porrebbe.
3) Anch’io credo che se l’Italia
avesse potuto fare ricorso alla svalutazione competitiva, oggi le condizioni
economiche sarebbero probabilmente migliori.
Detto questo, devo dire che mi sembra una forzatura credere
che l’area dell’Eurozona sia il risultato di un disegno germanocentrico per
rafforzarsi a spese dei paesi più deboli come Spagna e Italia. Certo, oggi
siamo oggettivamente in una situazione in cui l’unico paese a essere favorito
dallo status quo è la Germania, che ha tassi vicino allo zero
sul suo debito (senza
neanche aver dovuto fare politiche di quantitative
easing) e un tasso di cambio dell’euro
sottovalutato per la sua economia (se non fosse nell’euro il marco oggi
varrebbe come minimo 2 dollari). E raddrizzare la situazione non è facile
se i tedeschi s’incarogniscono a portare avanti le loro politiche di egoismo
economico e trascurano di curarsi dei problemi dei paesi più svantaggiati. Non
credo a nessun complotto perché al tempo il progetto dell’euro fu duramente
ostacolato dalla Bundesbank e andò avanti solo per la volontà politica di
Helmut Kohl, che non era cosciente di come si sarebbe evoluto e che non poteva
certo prevedere la crisi del 2008.
Non condivido neanche le tesi contenute nello studio della
Fed del 2002 “L’euro: non è possibile, è una pessima idea, non durerà” citato
nel manifesto. È vero che l’euro è un esperimento mai fatto prima nella storia,
cioè una moneta senza dietro uno Stato, ma chi ha seguito la gestazione
dell’euro dall’inizio ha sempre avuto ben chiaro che la maggior parte delle
istituzioni e degli economisti americani ha sempre cercato di delegittimare
teoricamente la costruzione dell’euro.
Riporto un passo delle memorie di Guido Carli, il ministro
del Tesoro italiano che mise la sua firma sul trattato di Maastricht:
Già durante il mio primo viaggio negli Stati Uniti, al
seguito del presidente De Gasperi, ebbi modo di constatare insieme a Menichella
che settori influenti della comunità finanziaria erano acremente ostili ai
vincoli alla sovranità monetaria degli Stati Uniti che derivavano dagli statuti
di Bretton Woods. [...] Venti anni più tardi quella stessa comunità finanziaria
salutò con gioia lo sganciamento del dollaro dall’obbligo di convertibilità in
oro, come una riconquistata libertà di emettere dollari senza contropartita
alcuna. La natura di valuta di riserva internazionale del dollaro è
sopravvissuta a quegli istituti che le attribuivano la dignità di uno strumento
in qualche modo sottoposto a un controllo esterno, neutrale, rappresentato
appunto dall’oro. Caduto quel vincolo, il potere del dollaro si è
manifestato nella sua natura puramente egemonica. Gli Stati Uniti hanno
esercitato lungamente un diritto di “signoraggio” monetario verso il resto del
mondo. [...] Dico questo perché deve essere presente alla coscienza
degli europei che cosa il Trattato di Maastricht rappresenta veramente. Io non
vedo in Europa tracce di questa coscienza. La vedo invece negli Stati Uniti,
dove infatti, come un sol uomo, gli economisti sono scesi in campo per
difendere gli interessi della comunità finanziaria americana nel tentativo di
delegittimare il progetto di Unione Europea dal punto di vista teorico.
Ma soprattutto non sono assolutamente d’accordo con la tesi
principale del manifesto, e che cioè all’Italia converrebbe tornare al più
presto alla lira.
In Italia, nel mondo
accademico, questa tesi è portata avanti invece da Alberto
Bagnai, ecco una sintesi tratta da una vecchia intervista al Fatto Quotidiano:
“Il teorico (serio) del partito anti-euro: “Uscita
dell’Italia dolorosa ma inevitabile”
L'economista Alberto Bagnai cita Krugman e De Growe per
spiegare perché al nostro Paese conviene decidere di lasciare la moneta unica
prima che siano i mercati a imporcelo.
n realtà, Alberto Bagnai, che insegna politica
economica a Pescara e in Francia, pensa cheoccorra uccidere l’euro proprio
per salvare l’Europa e non per disfarla: per questo il nostro –
allergico tanto al pensiero economico mainstream, quanto ai fulminati della
Spectre massofinanziaria alla Paolo Barnard – ha deciso da un paio d’anni di
uscire dalla cerchia dell’accademia per divulgare una verità che per lui è
semplice quanto evidente: la moneta unica è stato un brutto affare.
Per spiegarlo, riempie il suo blog di articoli chiari e
divertenti, numeri e riferimenti bibliografici che lasciano poco spazio ai
dubbi. Non bastandogli il blog, peraltro, sta organizzando un convegno
scientifico a Pescara per il 22 e 23 giugno. Titolo: Euro: manage it or
leave it. Le sue teorie sono spesso spiazzanti per i non addetti ai lavori;
per questo non gli abbiamo posto domande in senso stretto, ma l’abbiamo
costretto a interagire con un ipotetico europeista un po’ naif e sinceramente
democratico, le cui informazioni derivino esclusivamente dagli editoriali
pubblicati dai due più grandi quotidiani italiani. Ecco il risultato.
L’euro va bene, è che c’è la crisi dei debiti sovrani.
I maggiori economisti internazionali, a partire da Paul
Krugman e Paul De Grauwe, non la pensano così. Se il problema fosse il debito
pubblico, dal 2008 – quando esplode la bolla dei mutui subprime – la crisi
avrebbe colpito prima Grecia e Italia (debito pubblico al 110% e al 106% del
Pil). Ma i mercati puniscono prima Irlanda (44%), Spagna (40%) e Portogallo
(65%), solo dopo Grecia e Italia. Cosa accomuna questi paesi? Gli squilibri di
bilancia dei pagamenti, causati dalla moneta unica,cosa ormai riconosciuta anche dal Fmi, che
hanno portato all’accumulazione di debito privato.
Debito privato?
Spiego: se un paese compra all’estero più di quanto
venda, dovrà farsi prestare dall’estero la differenza. Un deficit di bilancia
dei pagamenti porta così a debiti verso l’estero, prevalentemente privati. Ma
perché il resto del mondo continua a far credito? Semplice: per finanziare la
vendita delle proprie merci. E’ banalmente il meccanismo in atto tra Cina e
Usa. La crisi in Europa esplode quando le banche tedesche, scottate dai
subprime, devono rientrare dei loro crediti verso i paesi periferici.
Ma tutti scrivono che il problema sono i debiti pubblici?
A valle certamente. Ma a monte il problema nasce perché
le banche – i cui crediti sono i debiti dei privati – hanno prestato
largamente, realizzando profitti: quando la crisi economica ha messo famiglie e
imprese in difficoltà, lo Stato ha salvato le banche, tassando le famiglie, per
via della storia del too big to fail. E ora il debito è pubblico.
Ma Giavazzi e Alesina dicono che è colpa nostra che non
abbiamo fatto le riforme.
Forse potevamo approfittare di più del dividendo
dell’euro, però è anche vero che nei primi anni il debito pubblico era sceso di
oltre 10 punti. La spesa pubblica però non l’abbiamo potuta ridurre di più
perché l’euro, penalizzando il nostro commercio, ci sottraeva domanda estera:
se avessimo diminuito anche quella pubblica saremmo cresciuti ancora di meno.
Ma la Germania le riforme le ha fatte e infatti va bene:
vende pure in Cina.
Intanto non è vero: la bilancia commerciale della Germania
con la Cina era negativa ed è peggiorata. Sa, invece, dov’è migliorata? Coi
paesi dell’Eurozona, con noi. Questo perché le riforme del mercato del lavoro
in Germania si sono tradotte in una sostanziale precarizzazione, volta a
comprimere i salari. E’ una svalutazione interna, quella che oggi viene chiesta
a noi: non va dimenticato, però, che la Germania per assorbirne il costo
sociale fu costretta a violare per prima il Patto di stabilità, sussidiando una
pletora di sottooccupati (e quindi, indirettamente, il suo sistema
industriale). Ma ora a noi chiede austerità, mentre occorrerebbero politiche di
rilancio dell’economia,come riconosce anche l’International Labour Office delle
Nazioni Unite.
Comprimere i salari? L’operaio tedesco guadagna il doppio
dell’italiano.
In Germania non c’è solo l’operaio strutturato e non c’è
solo la Wolkswagen: c’è anche sotto-occupazione, ci sono i mini-job… Risultato:
dopo le riforme i salari reali in media sono calati del 6,5%.
L’euro, comunque, l’abbiamo fatto per avere stabilità.
Conviene anche a noi: dove andavamo con la liretta nel
mondo globalizzato…
I manuali di economia ci spiegano che gli agganci a una
valuta forte spesso servono a imporre agli attori sociali di un paese
‘disciplina’ con lo spauracchio del vincolo esterno. Pensi a quanto non sono
cresciuti i salari italiani in questi anni e a cosa sta accadendo con
l’articolo 18, che pare non interessi tanto agli industriali italiani quanto a
quelli tedeschi, come ci ha ricordato a suo tempo il nostro premier.
Ormai però siamo dentro e dobbiamo restarci: servono gli
eurobond e la Bce deve diventare come la Fed.
Faccio un esempio. In Italia abbiamo sotto gli occhi 150
anni di unione monetaria, politica, fiscale, eccetera, e quali sono i
risultati? Il Mezzogiorno è oggi in una condizione di deficit strutturale per
17 punti del suo Pil, che colma con risorse prese dal resto del mondo, fra cui
trasferimenti fiscali dal Nord Italia. Ma al Nord non tutti sono contenti.
Ecco, se applicassimo a livello europeo questo meccanismo di “unione di
trasferimento”, nel Nord Europa si affermerebbero (come sta succedendo)
dinamiche politiche “leghiste”, molto pericolose.
Lei non starà dicendo che dobbiamo uscire dall’euro?
Temo sia doloroso ma inevitabile, e dovremmo gestire
questo processo anziché subirlo. Non commettiamo l’errore di identificare
l’Europa con l’euro. L’euro è solo l’undicesima moneta dell’Unione, quella che
funziona peggio: l’Europa c’era prima e ci sarà dopo.
L’uscita dall’euro è una catastrofe. La lira si
svaluterà: per comprare la frutta servirà una carriola di banconote.
Si fa molto terrorismo, ma di fatto nel medio periodo il
cambio recupera il differenziale di inflazione accumulato col paese di
riferimento negli anni del cambio fisso. Così è successo in Argentina, così
successe anche all’Italia quando uscì dallo Sme nel 1992. Nel caso attuale, la
svalutazione sarebbe attorno al 20%.
E quindi avremo il
20% in più di inflazione…
In realtà tutti gli
studi negano ci sia un rapporto diretto tra svalutazione e inflazione: sempre a
stare agli studi scientifici, è lecito attendersi un aumento dell’inflazione
fra i 2 e i 4 punti (non certo 20!). Le ricordo cosa successe nel ’92 dopo una
svalutazione del 20%: l’inflazione scese dal 5 al 4%.
C’è qualche
problema, ma ora i tecnici metteranno a posto i conti.
In realtà il governo
Monti sta facendo delle scelte tecnicamente sbagliate, che mettono in visibile
difficoltà il paese, applicando a noi le ricette che non hanno funzionato in
America Latina negli anni 80 e 90.
In maggioranza c’è
il Pd che si batte per introdurre elementi di sinistra nelle leggi del governo.
La fiducia nel
mercato di certa sinistra è commovente: nessuno sfrenato pensatore liberale e
liberista ne ha altrettanta. Però quando la sinistra aderisce a politiche di
forte destra, alla fine succede solo una cosa: vince la destra.
Alcune riflessioni più recenti:
“Perché l’Italia deve
uscire dall’Euro: teoria economica e riflessioni
"Polis" esce allo scoperto e con un lungo
articolo si dichiara favorevole all'uscita dell'Italia dall'euro-zona. In
questa prima parte la riflessione è concentrata sugli aspetti economici
E’ un paio di settimane che questa rubrica gira intorno
all’argomento, e forse, a questo punto, tanto vale farecoming out. Cari
lettori, penso sia giunto il momento di dire chiaramente che bisogna
uscire dell’euro.
Ovviamente non posso motivare la presa di posizione in punta
di teoria economica: non perché non mi sia informato quanto più
approfonditamente mi fosse possibile, ma perché non ho alcuna autorità in
materia; e quindi non sarei considerato credibile, né sarei capace di
contrastare efficacemente eventuali obiezioni tecniche. Cercherò semplicemente
diriportare quello che ho letto e che più mi convince, soffermandomi in
questa prima parte sugli aspetti prettamente economici, la prossima
settimana su quelli politici.
PARTE I – L’ECONOMIA
La teoria economica offre abbondanti analisi sul tema dell’Area
Valutaria Ottimale (AVO), vale a dire quell’insieme di
paesi che possono condividere con successo un regime di cambio fisso, oppure
addirittura la stessa moneta. L’Italia è passata attraverso entrambi questi
sistemi: siamo stati in un regime di parità di cambio, lo SME,
dal 1979 al 1992; e siamo in un’unione monetaria, l’euro-zona,
dal 1° gennaio del 1999. Queste esperienze, per molti economisti, sono la prova
che:
- l’Europa non è
un’Area Valutaria Ottimale;
- uscire
da quest’area valutaria mal intesa sarà inevitabile;
- un’uscita
“pilotata” sarebbe comunque preferibile, sarebbe
relativamente gestibile e nonprovocherebbe danni
incalcolabili.
Critici dell’euro furono già in tempi assolutamente non
sospetti economisti del calibro di Paul Krugman, Martin Feldstein e Nouriel
Roubini: quindi, che nella costruzione dell’euro-zona ci fosse qualcosa che non
andava, lo si sapeva già da tempo. Sulle paure legate ai rischi di un’uscita
dell’Italia e di una dissoluzione della moneta unica, ho già citato qualche
riferimento due settimane fa, da cui si dovrebbe aver realizzato che i
costi del processo sono assolutamente sopportabili e che anche la psicologia e
le ansie dei mercati sono del tutto gestibili.
Un po’ meno scontato potrebbe essere capire perché “un’altra Europa”
non è possibile, perché cioè non si possa riformare il sistema rimanendo al
suo interno. Questo discorso si lega alle ragioni profonde di questa crisi, che
– come ormai sa chi segue questa rubrica – non
dipende dal fatto che per anni abbiamo speso troppo: perché questo semplicemente non
è vero.
1. Il segreto di pulcinella: come mai siamo in crisi?
La crisi nasce da uno shock esterno: la bolla dei mutui
sub-prime, che è scoppiata negli USA e poi da lì si è ripercossa sui mercati
globali. Giunta in Europa la bolla ha impattato contro un’ideologia economica
ottusa e un sistema monetario troppo rigido e squilibrato, che ha impedito di
contenere gli effetti negativi, e anzi li ha ampliati, creando una spirale
recessiva perversa e senza uscita. E’ stato così che gli errori strutturali
dell’euro-zona hanno trasformato una crisi finanziaria in una grave recessione
continentale; recessione che a sua volta frena la ripartenza dell’intera
economia globale. Cerchiamo di capire da cosa dipende l’inadeguatezza del
nostro sistema…
Ci sentiamo spesso ripetere il mantra della “competitività”:
cioè che oggi bisogna competere, competere e ancora competere. Ed in effetti, a
livello microeconomico, l’idea pare dare i suoi frutti: stimola l’innovazione e
orienta l’offerta alle esigenze del consumatore. Ma c’è anche un lato negativo:
se si accetta la competizione, si dà per scontato che ci saranno si dei
vincitori, ma ci saranno anche dei vinti, cioè aziende che
chiudono perché hanno perso la sfida.
E’ logico – ed è d’altra parte confermato dalla teoria economica – che non
si può essere tutti contemporaneamente i più competitivi,esattamente come non
si può arrivare tutti contemporaneamente primi. Il problema, si dice,
si potrà riassorbire, perché i lavoratori che perdono il posto potranno essere riassunti
là dove la competizione è stata vinta. Tuttavia, se si traspone lo stesso
scenario a livello macroeconomico, il risultato è affatto diverso: i vinti non
sono più aziende, ma interi paesi che si impoveriscono, paesi che,
con la stessa logica, per riassorbire la disoccupazione dovrebbero lasciar
emigrare i loro abitanti.Cosa che in Europa non è successa.
Quando sentiamo dire che “i giovani sono mammoni”, che “non
si spostano da casa”, che “non hanno sfruttato le possibilità dell’Europa”, in
realtà non si tratta solo di moralismo da quattro soldi: chi lo dice sta
infatti sfogando la frustrazione per il fallimento annunciato di un
presupposto centrale dell’Unione Europea: la mobilità intracomunitaria dei
lavoratori. Che non si è mai realizzata non solo perché abbiamo
differenti lingue, differenti culture, differenti storie, differenti
sensibilità e differenti obiettivi; ma anche perché – più prosaicamente – all’interno
dell’UE si trasferiscono pochissime risorse, non si condivide lo stesso debito,
abbiamo un diverso mercato del lavoro, un diverso sistema giudiziario, un
diverso apparato burocratico e una diversa fiscalità.
L’euro non ha fatto altro che ampliare gli squilibri
commerciali tra i paesi aderenti, grazie anche all’atteggiamento
mercantilista della Germania, che ha praticato deliberatamente la scelta
di contenere il suo tasso d’inflazione reale sotto la media europea per
essere più competitiva con l’estero (se i prezzi degli altri crescono più
velocemente, i miei diventano più convenienti e io vendo di più). Così la
Germania ha accresciuto le esportazioni, realizzando un surplus strutturale.
Per contenere il tasso d’inflazione è bastatocomprimere i salari, impedendo
ai consumi di decollare: un dato di fatto che – per inciso – smonta il mito
della superiorità
produttiva tedesca…”
“Le valute, come qualsiasi altro bene sottoposto ad un
regime di libero mercato, si apprezzano e si deprezzano non solo perché – come
spesso si sente dire – “quando eravamo scorretti, praticavamo la famigerata
svalutazione competitiva”, ma più frequentemente perché quando l’export di un
paese si riduce, si riduce anche la domanda della sua moneta. I PIIGS, essendo
in costante deficit, hanno finanziato il loro disavanzo importando capitali
privati dal resto dell’Europa: sono diventati quindi importatori netti di
capitali (avete presente il mantra degli “investimenti esteri”?). Ovviamente le
banche del Nord erano ben felici di prestare ai loro partner dell’euro-zona,
perché non c’era il rischio di svalutazione e si poteva godere degli alti tassi
di interesse (attenzione a non fare confusione: siamo nel settore privato
bancario, e lo spread, che all’epoca era praticamente a zero, non c’entra!).
Quando è scoppiata la bolla finanziaria, le banche sono andate in sofferenza,
l’epoca del credito facile è finita, lo Stato è dovuto intervenire per
sostenere l’economia e il debito pubblico è cresciuto. Pertanto è evidente che
è stato il credito privato a creare il problema, speculando sui prestiti a
paesi in deficit commerciale e gonfiando così una bolla costruita sul mito
dell’incrollabilità dell’euro.
Le esportazioni tedesche sono partite non verso la Cina
(come tutti i paesi, anche la Germania è in deficit rispetto alla Cina), ma in
gran parte verso il resto dell’Unione Europea: si è creato così al suo interno
un gruppo di paesi che, avendo perso la sfida dell’export a causa della
minore inflazione tedesca, si sono ridotti al ruolo di importatori. E basta
dare un’occhiata aidati
dell’Eurostat per scoprire che tra questi paesi importatori, quelli
che non avevano l’euro nonsono andati in crisi: mentre quelli che
lo avevano… sono diventati PIIGS.
La crisi sta tutta qui: essa ha colpito i paesi in
costante deficit commerciale che hanno la moneta unica. Chi non la ha
adottata, infatti, ha svalutato la propria valuta e ha potuto così recuperare
un po’ di competitività.
Riassumendo: l’Unione di fatto non esiste(come ha
capito anche chi recita il il mantra del“più Europa”) e il problema
dell’euro-zona è un mix micidiale tra:
1) rigidità del cambio, che esaspera gli
squilibri commerciali e rende le varie economie incapaci di difendersi da shock
esterni svalutando;
2) politica mercantilista della Germania, che ha
costruito la propria ricchezza sull’impoverimento delle economie dei paesi a
cui vendeva le merci e prestava i capitali (lo
scrisse persino il Sole 24 Ore l’anno scorso, sottolineando proprio la
differenza dei saldi commerciali tra noi e i tedeschi prima e dopo l’euro).
2. Cosa succederà e cosa dovremmo fare
Ormai abbiamo capito, dunque, che non è certo lasciando il
quadro immutato e con la sola austerità che usciremo dalla crisi: persino chi
sostiene che dobbiamo restare a tutti i costi nell’Unione Europea capisce
che il piano di salvataggio non salverà nessuno. E il motivo è
semplice: se un paese è in crisi e lo Stato taglia la spesa, ci saranno ancora
meno consumi e quindi ci sarà ulteriore recessione. Prima o poi, dunque, la
frustrazione sociale per una ripresa che non si riesce ad intravvedere
diventerà insostenibile. Oppure un altro paese debitore finora toccato solo
marginalmente dalla crisi, ma che presto dovrà vedersela “con l’Europa”, vale a
dire la Francia, potrebbe decidere autonomamente di uscire.
O forse saranno altri a fare il primo passo: magari gli stessi Tedeschi. Una
cosa è sicura: se un progetto è insostenibile, prima o poi perderà il sostegno
e crollerà.
D’altra parte modificare il quadro di regole che ci sta
stritolando è impensabile, perché gli squilibri politici ed economici
sono troppo accentuati e gli interessi dei vari paesi completamente divergenti.
Nell’immediato, ad esempio, avremmo bisogno di maggiore
inflazione in Germania: cioè di un aumentato potere d’acquisto dei salari
tedeschi, che “tiri” i consumi e favorisca le importazioni da paesi esteri
come il nostro: cioè quel ruolo di “locomotiva d’Europa” che
finora la Germania ha avuto solo sulla carta. Poi avremmo bisogno di una forma
di condivisione del debito per calmierare i tassi d’interesse; e naturalmente
dovremmo abolire il fiscal compact, consentendo ai singoli Stati di
finanziare con la spesa pubblica la loro ripresa. A quel punto potremmo
cominciare a ricostruire l’Europa da capo, all’insegna di una vera
integrazione. Se ci fosse la volontà, si potrebbe fare così: ma se ci
fosse la volontà, lo si sarebbe già fatto.
Sono passati cinque anni, abbiamo devastato un paese
come la Grecia, aumentato la povertà e la disoccupazione in Spagna,
Portogallo e Italia; e l’ultima volta che l’UE si è riunita per prendere una
decisione sul bilancio comunitario – che corrisponde a circa l’1% del
PIL – il risultato è stato l’ennesimo
nulla di fatto. Dobbiamo concludere allora che per il Nord Europa la moneta
unica è stata semplicemente un’occasione di guadagno e che non sono
intenzionati a rimetterci soldi loro per salvarla. Se adesso la tirano
tanto per le lunghe, è solo perché non sanno decidersi a rinunciare alla
gallina dalle uova d’oro. E’ chiaro che il capitalista tedesco non vuole
rinunciare ad un assetto su cui ha lucrato per lungo tempo: ed è altrettanto
chiaro che il lavoratore tedesco non vuole fare sacrifici per noi, perché gli
hanno detto che è tutta colpa del sud sprecone che non ha voglia di
lavorare.
Insomma, è nostro interesse non restare un
minuto di più in un sistema destinato comunque a sicura fine, che nel frattempo
penalizza le nostre industrie, i nostri redditi e la nostra residua autonomia
politica.
3. Conclusione
Questa è, a mio giudizio, la teoria più convincente
sulla crisi dell’euro che ci sia in circolazione, ed è sostenuta, tra
gli altri, da economisti quali Fabrizio Tringale, Claudio Borghi, Alberto
Bagnai. Se non altro è l’unica in base alla quale i manuali di economia, le
opinioni dei grandi economisti, i dati macroeconomici e i comportamenti dei
singoli attori in campo assumono un senso ed una coerenza. Va da sé che, non
essendo io un economista, se un giorno dovessi essere convinto da una
spiegazione di tipo diverso, non mancherò di riportarlo. Detto questo possiamo
muovere verso il corollario più inquietante: le implicazioni politiche…
Andrea Giannini “
Pareri dunque, come si vede, molto vari e spesso divergenti su cui sarebbe opportuno un confronto
chiarificatore .
Chiudo con una
sintesi sui vantaggi e svantaggi di una
nostra uscita dall’euro avvertendo che
ovviamente si tratta di pareri che certo
non esauriscono la complessità del dibattito. Personalmente ritengo che il
cittadino comune e di buon senso al di la’ delle tesi contrastanti di
economisti di diverse scuole , debba riflettere sul dato storico che dalla
crisi del 29 non si usci’ certo con politiche di rigore ma di tipo Keynesiano e
che, alla fine, non occorra essere esperti economisti per capire i risultati
disastrosi in chiave di privazione di
diritti e danni economici prodotti al
paese dalla nostra permanenza in questo tipo di Europa . Se queste politiche non cambieranno da subito
radicalmente credo che i danni di una nostra permanenza nell’euro sarebbero il
fallimento totale del paese ,dunque a quel punto meglio percorrere altre
vie prima che sia troppo tardi.
Vantaggi dell'uscita dall'Euro
- Svalutazione.
Al di fuori della zona Euro i paesi hanno la possibilità di svalutare la
valuta nazionale per rilanciare l'economia, riducendo in tal modo gli
effetti reali della crisi economica sull'economia La
svalutazione traina laproduzione per l'esportazione. Occorre comunque
precisare che la svalutazione aumenta anche il costo delle materie prime
importate (es. petrolio) causando indirettamente un rincaro generalizzato
dei costi di produzione delle imprese nazionali e quindi l'aumento dei
prezzi di vendita delle merci e dei servizi.
- Maggiore
solvibilità nazionale e bancaria. Al di fuori della zona Euro l'onere
degli aggiustamenti del debito
pubblico grava sui creditori esteri. Tuttavia, questo effetto si
traduce anche in una crescita del rischio per gli investitori e, di
conseguenza, anche della crescita del tasso di interesse dei titoli di stato.
In altri termini, per collocare i titoli di stato gli investitori
chiederebbero dei tassi di rendimento più alti sugli stessi. Ad esempio,
dopo la svalutazione della Lira nel 1992 il tasso di rendimento sui BOT è
cresciuto fino al 17%.
- Crescita
economica. In situazione di crisi economica i paesi fuori dalla Zona
Euro sono in grado di affrontare la congiuntura negativa mediante la
svalutazione. La svalutazione aumenta la produzione per l'export e riavvia
il ciclo economico verso la crescita economica. L'effetto della
svalutazione sulla crescita economica di un paese è fortemente dipendente
dalla presenza o meno dei beni di esportazione nella struttura
produttiva nazionale.
Svantaggi dell'uscita dall'Euro
- Inflazione.
L'uscita dall'Eurozona comporta un rapido innalzamento dell'inflazione dei
prezzi e dei tassi di interesse. La crescita dei prezzi e dei tassi di
interesse potrebbe essere molto alta penalizzando fortemente il potere di
acquisto di consumatori e famiglie, il costo degli investimenti e dei
finanziamenti delle imprese, nonché il costo del finanziamento per le
famiglie (es. mutuo a tasso variabile).
- Crescita
indebitamento pubblico. In caso di rialzo dei tassi di interesse
post-svalutazione diventa più difficile collocare i titoli di stato senza
aumentare anche il loro rendimento. L'aumento del rendimento dei titoli
pubblici comporta, indirettamente, la crescita del debito pubblico
nazionale. Ciò accade soprattutto nella fase iniziale, post svalutazione,
e si attenua nel tempo quando il sistema economico si avvia verso una fase
di crescita economica trainata soprattutto dall'export.
- Rincaro
carburanti ed energia. La svalutazione rende più competitive le
esportazioni aumentando la produzione/occupazione nazionale ma causa anche
un aumento del prezzo di acquisto dei beni importati, in particolar modo
dell'import delle risorse energetiche, delle materie prime (es. petrolio)
e dei fattori produttivi.
- Svalutazione
competitiva. Tra i paesi fuori dall'Euro potrebbe innescarsi una corsa
alla svalutazione per ottenere i vantaggi a scapito degli altri paesi.
Queste politiche causano effetti positivi di breve periodo ma anche
conseguenze devastanti nel lungo periodo per gli effetti destabilizzanti
sul mercato internazionale.
- Struttura produttiva. La svalutazione
innesca la crescita economica nei sistemi economici con una struttura
produttiva di esportazione. Viceversa, nei sistemi produttivi
caratterizzati da un basso livello di export la svalutazione non ha alcun
effetto sulla crescita economica, in quest'ultimo caso prevalgono
soprattutto gli effetti economici negativi post-svalutazione ( inflazione
dei prezzi ) dovuti al rincaro del valore dell'importazione delle materie
prime (es. petrolio). Ad esempio, in un paese come la Grecia la
svalutazione non influenzerebbe la crescita poiché i beni di esportazione
caratterizzano soltanto una minima parte della produzione greca. La Grecia,
inoltre, è già una delle principali mete turistiche internazionali e
l'eventuale svalutazione della Dracma non aumenterebbe più di tanto gli
attuali flussi turistici dall'estero.
- Rivalutazione
del tasso di cambio. Anche i paesi forti della zona Euro ( es.
Germania ) sarebbero penalizzati dall'uscita dall'Euro poiché ciò
comporterebbe il ritorno alla propria valuta nazionale e ad una immediata
rivalutazione del tasso di cambio della valuta nazionale con conseguente
diminuzione delle esportazioni. In altri termini, il prezzo di vendita sui
mercati internazionali delle merci tedesche sarebbe più alto in caso di
ritorno della Germania alla valuta nazionale ( Marco tedesco ) rispetto a
quello della zona Euro. L'attuale tasso di cambio europeo, invece, è la
risultate di tutte le economie europee, sia di quelle deboli e sia di
quelle forti.
Interessante ed utile sintesi, dovrebbero organizzare dibattiti televisivi mettendo a confronto economisti di diverso parere.
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RispondiEliminaPierluigi Carnicelli10:24
1
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A prescindere dalle opinioni pro o contro l'Euro, è positivo che se ne cominci a parlare sempre di più. E' fondamentale analizzare i vantaggi e gli effetti negativi che l'Euro dal 2002 ad oggi ha portato all'economia e alla società italiana.
Personalmente, faccio fatica a trovare dei vantaggi, mentre la lista dei disastri è veramente lunga, soprattutto per un Paese come l'Italia, che con il potenziale e le risorse a disposizione dovrebbe trovarsi in ben altra situazione.
ecco come FARE.
EliminaSenza chiedere permessi e senza "trattare" con nessun BOIA della eurozomna criminale...
https://www.facebook.com/events/1427733774110898/?fref=ts
falco trei11:37
RispondiEliminaprima di uscire dall'euro dobbiamo riprenderci quello che ci hanno tolto......
Non vedo in che modo visto come siamo ridotti.
RispondiEliminaOttimo riassunto...
RispondiEliminaArgomenti ripresi d astudi e pubblicazioni e report ormai noti e stranoti da alme no 10-20-30 anni ad economisti avveduti e NON venduti al potere inumano di banche e finanza...
Che posso dire...?
O passiamo ad usare le ARMI, oppure la "bancocrazia" mndiale ci massacrerà tutti assieme ai nostri figli.
Ma nesuno sembra disposto a capirlo DAVVERO, come FATTO. Oramai evidente!
Tutti credono si tratti di un film... che resta, negli esiti, al di là dello "schermo"... invece che ucciderci come IN EFFETTI AVVIENE!
SE le "vittime" non fannoo nulla per sottrarsi al carnefice...
allora HA RAGIONE IL CARNEFICE.
Quella da te linkata è una ipotesi seria da valutare , ma prima, per una questione di metodo corretto democratico, andrebbe informata tutta la base, come si è fatto sulla legge elettorale, sulle varie opinioni ed opzioni in campo nel dibattito tra economisti di varia estrazione in modo che possa scegliere con un minimo di informazione in modo critico e consapevole e poi passare ad una votazione sui modi. Ma qui entra in ballo la solita questione di come porre la questione ai nostri parlamentari e a Grillo in modo che si crei una piattaforma ufficiale attraverso la quyale tutta la base possa esprimersi .
EliminaComplimenti un resoconto molto utile da centellinare e rileggersi con calma.
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